Sta prendendo piede la “Libreria umana”, un progetto no profit che si propone si favorire la ‘lettura’ delle storie di vite tra mite incontri interpersonali gestiti da negozio-libreria. L’organizzazione nasce venti anni fa a Copenaghen in reazione ad evento razzista. Ci si prefiggeva di favorire l’incontro con persone di gruppi e minoranze stigmatizzati, vittime di pregiudizi. Non si tratta di incoraggiare conversazioni piacevoli, ma l’ascolto attento e rispettoso, il che non deve impedire domande scomode.
Prima di ogni lettura/conversazione i volontari proclamano i “Diritti del libro e del lettore”: l’interrogato-libro può benissimo non rispondere a determinate domande o stoppare la conversazione prima del tempo consentito, fissato a 30 minuti. Un limite che potrebbe sembrare penalizzante, ma che la Libreria umana difende spiegando che non intende promuovere rapporti a lungo termine e stabili – i quali possono sempre svilupparsi liberamente ex post e fuori della Libreria – ma solo gettare semi di dialogo, con domande dirette a qualcuno che viene percepito come diverso. La società ha estremo bisogno di realizzare ponti tra contendenti. Si pensi al confronto tra persone con orientamento politico di destra o di sinistra, tra un ebreo e un nazista, un cattolico e un transgender, un abortista e un volontario del movimento per la vita… «Secondo me – sostiene uno degli organizzatori – il tempo stringato di una mezz’ora è sufficiente a far sorgere dei quesiti e a scatenare uno shock nel “lettore”. Una volta, per esempio, un signore anziano ha richiesto in prestito il “libro” di un ragazzo gay. Era da poco stata introdotta la legge dei matrimoni tra omosessuali, e quest’uomo affermava di avere delle difficoltà ad accettare un’unione di questo tipo. Alla fine della conversazione, però, il signore è tornato indietro per ringraziarci e ha dichiarato di non aver cambiato idea, ma di aver capito di dover scendere a compromessi con il mondo che stava cambiando, e che l’amore tra due persone dello stesso sesso era qualcosa di possibile».
La “Human Library” è suddivisa allo stesso modo di una vera biblioteca: oltre all’area di lettura/conversazione e allo sportello informativo, esiste infatti la zona a “Bookshelf” in cui si trovano i “libri” che attendono di essere presi in prestito, ossia che desiderano condividere la propria esperienza e correggere il giudizio altrui, raccontando la propria storia. Ci si può chiedere se l’utilizzo di alcuni titoli non ostacoli l’avvicinamento tra “lettore” e “libro”: «Il “titolo” di ogni libro è fabbricato come una provocazione, tesa a suscitare una reazione. Il risultato che vorremmo ottenere è che il “lettore”, alla fine della conversazione, consideri l’etichetta irrilevante. Abbiamo pensato a lungo a come presentare la nostra lista di “titoli”, valutando anche di usare delle parole insensate che non alludessero per nulla alla persona che vi stava dietro, o di creare un catalogo in cui inserivamo una piccola descrizione dei libri-persone e della loro problematica. Poi, però, ci siamo accorti che era necessario mostrare con chiarezza l’argomento della conversazione che si sarebbe svolta. Inoltre, abbiamo compreso quanto fosse importante che, al momento delle presentazioni, l’unica cosa nota ai partecipanti fosse solo il “titolo”, il pregiudizio. In questo modo avremmo dato ai “lettori” la possibilità di pensare prima all’etichetta e poi alla persona che convive con quell’etichetta, separandole di netto».
Salutiamo come una novità positiva questo spazio di dialogo, confronto e tolleranza attiva. «Questo progetto agisce direttamente sul campo della diversità ed è l’unica attività che conosco ad essere davvero inclusiva. Le persone che hanno vissuto esperienze terribili diventano attivisti e si muovono per un cambiamento sociale, che riguarda loro stessi e gli altri. Ma la discriminazione è insita nella natura dell’uomo e penso sia difficile che questa, un giorno, scompaia».
Ciononostante la libreria umana apre una speranza nella lotta contro la violenza, ma richiede una solida équipe organizzatrice, regole stringenti da far rispettare e un ambiente umano-caldo che faccia sentire l’interrogante e l’interrogato a proprio agio. Spesso aiuta a non ‘leggere’ gli altri in bianco e nero. Un esempio: Joe, uno dei nostri “libri”, è un rifugiato della Germania nazista. Sopravvissuto all’Olocausto, ha visto i suoi parenti morire in un campo di concentramento, per poi fuggire a quattordici anni verso l’Inghilterra. Nell’area della “Libreria” alcuni “libri”, dopo aver ascoltato la sua storia, esprimevano la propria opinione sul Nazismo; ognuna di quelle persone avrebbe avuto un motivo per essere perseguitato da quel regime, quindi i loro toni erano naturalmente molto alterati, quasi furiosi. Sono rimasto letteralmente scioccato quando ho sentito Joe interromperli e ammonirli, dicendo loro di non fare l’errore di pensare che tutto quello che aveva fatto Hitler fosse un male. La sua intera famiglia era stata uccisa a causa di quell’uomo, ma lui, in breve, ha esortato gli altri a non pre-giudicare Hitler. Questa, per me, è la definizione di Human Library».
Secondo il direttore dell’iniziativa, questa biblioteca fatta di persone è un tentativo di riconoscere in se stessi e nella cultura dominante l’esistenza di pregiudizi per aiutare lentamente a smantellarli, benché non ci si possa illudere di eliminare del tutto un problema che è umano ancor prima che sociale: