Ormai da quasi un anno i media ci ammanniscono le teorie più implausibili sull’origine e le conseguenze del Covid-19. A mio parere, in tale profluvio di argomentazioni, un tema è stato relegato ai margini dell’attenzione: il senso delle limitazioni imposte dal Governo, in nome dell’emergenza sanitaria, alla celebrazione dei riti religiosi, e in particolare alla prassi liturgica della Chiesa cattolica. Quest’ultima ha osservato in modo rigoroso le prescrizioni dei dpcm. D’altra parte, tra i fedeli si sono levate poche voci di aperto dissenso alle decisioni della CEI.
Le trattative fra lo Stato e la CEI sono si sono svolte in un contesto criptico, forse nella convinzione che in seguito sarebbe stato sufficiente riferire ai laici le statuizioni finali: in estrema sintesi, durante il lockdown le Messe si sarebbero state celebrate “a panche vuote”.
Non si possono ancora valutare adeguatamente le conseguenze delle suddette restrizioni sulla vita sacramentale dei fedeli. Si comincia, tuttavia, a intravederne qualcuna. Anche alle Messe festive, pur nell’evidente contrazione dei posti disponibili, tuttora molte panche rimangono vuote. È plausibile pensare che, ad emergenza cessata, le nostre chiese saranno ancora più vuote di prima. E non è vero che “prima” le chiese fossero assalite da folle oceaniche ad ogni celebrazione. In molte parrocchie, anzi, non lo erano neppure per la Messa della domenica. Eccezion fatta, si intende, per le Messe di Natale e Pasqua nonché per le Prime Comunioni e le Palme (da sempre le celebrazioni più “partecipate”: indovinate perché). Non dovremo stupirci se in un prossimo futuro saranno sempre più numerosi coloro che, con estrema disinvoltura, si dichiareranno “cattolici non praticanti”. Detto per inciso: riporto qui tale espressione, ma confesso di non averne ancora compreso il significato. E, forse, sono in buona compagnia.
Tuttavia, nell’attuale temperie storica, non è opportuno porre in evidenza quanto sia modesto il significato che la partecipazione alla liturgia ha assunto e assume per alcuni fedeli. Non spetta certo a noi spegnere il “lucignolo fumigante”. Ci pensa ora il soffio del virus, coadiuvato dalla nostra indolenza. Va tenuta in conto anche la possibilità che, consentendo durante il lockdown la partecipazione alla Messa dei fedeli, l’affluenza di questi ultimi sarebbe stata comunque esigua. La paura avrebbe giocato il suo ruolo, tenendo lontani dalle chiese non pochi fedeli.
Pertanto, è legittimo ritenere che sarebbe stato possibile, adottando le opportune misure prudenziali, consentire la partecipazione dei fedeli alla liturgia anche durante il lockdown. Ciò vale in particolare per le Messe feriali. Avete mai partecipato alla Messa in un anonimo giovedì? Se lo avete fatto, avrete senz’altro notato come, anche in tempi non sospetti, i quattro fedeli quattro si dispongano agli angoli della chiesa, ovvero a distanza di vari metri l’uno dall’altro. Pertanto, in tempi di lockdown, né una particella-mennea del droplet né il più perfido areosol avrebbero potuto varcare una distanza simile… Non è stata concessa alcuna eccezione, neppure per la Messa del Natale. Evidentemente, si continua a ritenere che il virus si ringalluzzisca a partire dalle 22,00 per tornare a più miti consigli al sorgere del sole. L’accomodamento orario escogitato per la Messa di Mezzanotte può suscitare indignazione nel credente che ha dovuto constatare come sia stato tollerato il delirio di folla occorso a Napoli, e sino a tarda sera, in occasione della morte di Maradona. E nessuna voce “istituzionale” ha condannato l’episodio. Neanche l’eminente personaggio politico che, in pieno lockdown, aveva minacciato il ricorso ai lanciafiamme contro coloro che avessero osato festeggiare qualsivoglia evento, foss’anche una laurea. L’Eminente non ha neppure avvertito di dovere di condannare l’accaduto, “coprendo” furbescamente il silenzio al riguardo a suon di lodi sperticate rivolte al Pibe de Oro. Tra l’altro, in tale occasione, lo scrivente ha appreso che un lutto si può esprimere anche inscenando una gazzarra per le strade.
Inoltre, non mi sono sembrate del tutto convincenti le pur autorevolissime argomentazioni addotte da padre Antonino Spadaro, direttore di “Civiltà Cattolica”, per motivare la scelta di anticipare la Messa di Natale: la celebrazione a mezzanotte non attiene alla Tradizione della Chiesa. Appartiene però (mi azzarderei a dire) a una tradizione radicata. E, forse, la gente semplice è legata più alle tradizioni che alla Tradizione. Vogliamo forse fargliene una colpa?
Si comprende allora che in tali circostanze alcuni di noi abbiano vissuto e vivano con disagio il proprio sentimento filiale – irremissibile, nel credente autentico – nei confronti di una Chiesa che si è rivelata incolore, insapore e inodore. Il constatare che tuttora in molti Paesi del mondo i cristiani (di ogni confessione) rischiano la vita per poter celebrare pubblicamente la Messa, potrebbe forse suscitare in alcuni di noi un vivo sconcerto e finanche un sussulto di pura e semplice vergogna. E mancano tuttora “evidenze scientifiche” che attestino come i kalashnikov e le bombe dei terroristi siano più clementi di un virus. Penso comunque che, cessata la pandemia (dies certus an incertus quando), molti di noi ricorderanno con spirito simpatetico alcuni episodi di resistenza pacifica, promossa da pastori e laici, alle decisioni assunte dalla Chiesa in tempo di Covid-19. Qui ne menziono tre.
Innanzitutto, la Messa celebrata durante il lockdown da un oscuro sacerdote del cremonese e seguita da una quindicina di fedeli, peraltro distanziati molto più di quanto prescritto. La Messa è stata interrotta dalle forze dell’ordine. Il relativo video è subito diventato “virale”. Cito un altro episodio, che ha avuto luogo in un centro del Gargano, San Marco in Lamis, ove un piccolo gruppo di fedeli ha osato celebrare la Via Crucis sul sagrato di una chiesa. È necessario dire che anche qui il rito è stato duramente riprovato dalle autorità? Da ultimo, adduco l’exemplum più noto, che ha avuto quale protagonista mons. Giovanni d’Ercole, vescovo emerito di Ascoli Piceno. Si tratta di una persona estremamente pacata, di una voce apprezzata nei dibattiti televisivi e, quel che più conta, di un pastore partecipe della “Chiesa del grembiule” cara a don Antonio Bello. Verso la fine del lockdown, D’Ercole ha osato dire a chiare lettere che le nostre chiese non costituiscono un luogo di contagio. Poco tempo dopo, egli ha dichiarato di volersi ritirare da ogni contesto pubblico per dedicarsi a una vita di preghiera e di meditazione. Quanto a noi, vorremmo possedere la sancta simplicitas necessaria per ritenere pienamente libera la sua decisione.