La parola à voce solo
quando rompe il mutismo cosmico
diffondendosi nel suo suono …
Raimon Panikkar
“Stanco di chi non offre che parole, parole senza lingua /… / scopro orme di capriolo sulla neve. / Lingua senza parole1. Così, ne “Gli anemoni” che “spuntano dal bruno fruscìo .. in luoghi dimenticati dove altrimenti non si sofferma lo sguardo”, il poeta Tranströmer contrappone il silenzio di un fiore al mondo convulso e al chiasso della comunicazione contemporanea. E fa venire i brividi con i suoi “altoparlanti che diffondono silenzio”, antitesi con cui nega e afferma per sfuggire ai vuoti schemi della comunicazione di massa e per contrapporsi al linguaggio pubblicitario in difesa della “polivocità della parola; ma le parole non comunicano più, “hanno cessato di comunicare”, prive di illuminazioni improvvise sono diventate ‘di plastica’2, inautentiche.
La ‘poesia dal silenzio’ invita a riflettere, perché “il silenzio ascolta, il silenzio osserva. Il silenzio è l’humus dell’essere”, parafrasando Saramago3. Ogni poeta si porta dentro un buio luce, scruta le maglie del tempo, si nutre di dubbi, si fa io nella storia; sempre in transito verso un viaggio interiore, dà voce all’io più profondo per scardinare l’assedio di un vuoto ritorno, per afferrare gli “anemoni improvvisi” di Tranströmer. E oscilla tra memorie e durezza del presente, in cerca dell’altro, per comunicare un’emozione improvvisa; scivolando su membrane di tempo, crea immagini, metafore, perché aiuti ‘l’altro’ a svelare il mistero, la bellezza intrinseca delle cose, ascoltando “la voce che si alterna al silenzio da dentro il silenzio attivo dell’universo, al quale il poeta sa di dover tornare e aspira a tornare”4. “La parola è come il respiro delle cose …, le parole non dicono il silenzio, è il silenzio che le fa parlare”5. “Sono le cose stesse, dal fondo del loro silenzio, che bisogna condurre all’espressione6. La ‘parola’ è come il suono, atomo primordiale d’arcano soffio, che attinge alla sfera più profonda dell’io. Solo attraverso le Arti, soprattutto la poesia, si può recuperare il silenzio primordiale per ri-creare l’essere in modo nuovo, in grado di svelare la propria intimità, esprimendo l’io autentico, aprendosi alla percezione del mondo, alla bellezza e all’armonia cosmica. Il poeta mediatore tra l’io-l’altro, al centro del linguaggio tra silenzio e parola.
Far vibrare i silenzi in “un moto di palpebra”, “scusarsi quasi di esserci”7 e fermare l’attimo è anche il senso della poesia-frammento, con la sua spontaneità e peculiarità linguistica. La bellezza triste del wabisabi, nel trasmettere sensazioni ed emozioni non è legata a nessun ‘significato’ particolare, è come un attimo di vita che diventa verso, un frammento (fractus) che contiene il tutto. “Cielo di lacca / nel meriggio che muore / che incantamento” .
Così il poeta si dissolve nella trasparenza delle immagini, nel frammentismo cosmico, per ricomporsi particella nella mente di chi ascolta. Frugando emozioni, svela mondi, apre con la ‘parola’ uno spazio di confronto tra esseri umani, un dialogo attraverso il quale acquisire pienamente se stessi.
Note:
1) T. Tranströmer, Poesia dal silenzio, Crocetti 2011;
2) U. Porsken, Parole di plastica, Textus, Aq. 2011;
3) J. Saramago, Di questo mondo e degli altri, Feltrinelli 2013;
4) G. Raboni, La poesia che si fa, Garzanti 2005;
5) R. Panikkar, Lo spirito della parola, Bollati Boringhieri 2007;
6) Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, Bompiani 2007;
7) Cento haiku, Presentazione di A. Zanzotto, Poeti della Fenice 2010.