“Da per tutto inciampicherete, obliqui o dritti, da per tutto vi imbatterete italiani, nei rottami del mio pensiero pugnace e tenace!” (D’Annunzio, Libro segreto). Mai affermazione d’autore fu più profetica. “Inciampichiamo” infatti progressivamente sempre più spesso nelle opere e nel pensiero di Gabriele D’Annunzio, personalità poliedrica dal “multiforme ingegno”, geniale non solo nella letteratura, di cui toccò tutte le corde di tutti i generi, ma anche nella moda, nel design, nella pubblicità, nel lessico, nella politica. Sarà per questo che dopo una fase di “damnatio memoriae” successiva alla caduta del Fascismo, dovuta ad una ingombrante ed imbarazzante collusione con la dittatura, si è riavviato un processo di revisionismo lento ma continuo di quello che appare più un personaggio di rottura con i canoni tradizionali che un cantore della tradizione passata, più un innovatore che un continuatore.
Punti focali dell’interesse risuscitato sono ovviamente l’Abruzzo, con il parco letterario del Sagittario e il Museo a lui dedicato nella sua casa natale di Pescara, e Gardone Riviera con il Vittoriale, che fu l’ultima dimora dello scrittore . Qui si consumarono gli ultimi anni del poeta-soldato dopo l’impresa eroica di Fiume, in fondo per tenere a bada le sue velleità di imprese audaci che il regime voleva placare più che assecondare. Fu una specie di esilio protetto e dorato, animato solo dalle battaglie amorose, dal cibo raffinato che lui stesso proponeva alla cuoca affezionata, dalla scrittura, dalla moda.
Disegnava lui stesso le stoffe e i modelli per gli abiti da realizzare per sé e le sue amanti che numerose frequentavano l’Eremo e l’alcova di Gardone. Nel continuo andirivieni degli incontri erotici regolati dall’amante-amica, diventata stabile nella stanza verde del Vittoriale, la pianista Luisa Baccara, emerge un’altra donna divenuta anch’essa ospite fissa negli ultimi anni, la dolce Mèlitta, al secolo Letizia De Felici.
Era giovanissima, Letizia, neanche ventenne, quando conobbe l’Immaginifico ormai circondato dall’aura della fama europea, e ne rimase affascinata non certo per l’avvenenza fisica, essendo il poeta già sessantenne e con pochi denti, ma per l’eloquio poetico e l’eleganza di modi, abiti e arredi. Galeotto fu proprio l’ambiente della moda, perché Letizia era la moglie di un commerciante di stoffe, mandata inizialmente dal marito al Vittoriale per sottoporre al giudizio di D’Annunzio gli articoli da scegliere. Da lì nacque una relazione che durò dal 1922 al 1934 e portò alla separazione di Mèlitta dal marito e ai dubbi sulla paternità di un bambino che lei ebbe nei primi anni dei loro incontri. Molte sono le lettere che documentano l’intensa passione e la carica erotica del loro rapporto, di cui un gruppo nutrito era rimasto inedito ed è stato pubblicato recentemente da Vito Moretti, nel testo dal titolo “Ariel a Mèlitta”.
In una di esse, ad esempio, il poeta scrive : “La panterea nera muta di loco. Ti bacio la fiamma scura. Ariel”; in un’altra: “Ardo tuttora. Ti rivedrò domani. Il mio genio è nel triangolo, come la testa del Padreterno”. In un’altra ancora, si allude ad un segreto che un gioiello con ciondolo nasconde, donato all’amante giovanissima e fatto realizzare dall’orafo di fiducia Buccellati. La pietra dura più grande al centro del ciondolo può essere sollevata mostrando una nicchia nella quale sono conservati i peli pubici di D’Annunzio.
La foto e la scatola di questo e di altri gioielli sono stati esposti in una mostra che è iniziata alla fine di febbraio di quest’anno e si sarebbe dovuta tenere fino ai primi di novembre ma è stata chiusa in anticipo per Covid. Allestita a Pescara nella casa di via Manthonè con il titolo “D’Annunzio intimo e segreto. Il sogno dell’esteta”, a cura di Lucia Arbace e Marzio Maria Cimini, la mostra esponeva molte lettere autografe del Vate e di Letizia De Felici, del veterinario factotum e di un altro amico, cimeli, abiti, fotografie, una statuetta eseguita da Renato Brozzi, alcuni fazzoletti di seta con le iniziali G d’A ricamate da Mèlitta, scatole con dediche autografe. Un centinaio di oggetti donati al Museo dall’imprenditore abruzzese Gianni Santomo, che dopo aver lavorato per Benetton negli anni ‘80, aveva aperto a Pescara un salone con una sua linea di abbigliamento maschile installandovi come richiamo i cimeli dannunziani acquistati nel 1996 in un’asta da Sotheby’s.
Spicca su tutto una grande foto con un volto bellissimo ed una dedica autografa : “ A Mèli-nella notte dorata dalla sua nudità e dall’alabastro come da due lampade segrete. 6-7. IV. 1932. Ariel”. Colpiscono alcuni appellativi al limite della blasfemia per il lessico di tipo francescano: D’Annunzio diviene Frate Ariel o Frate Agnello, o ancora il Padre Priore, mentre l’amica ora è Suor Mèlitta, ora Suor Lamentevole, a seconda dell’umore, la casa diventa la Porziuncola o il Convento. Tra le prime lettere si legge: “Non ti dissi che sarai sempre la benvenuta? Perché ancora tante “cerimonie” non francescane?…Il convento è più severo che mai.” Variano anche gli appellativi di Letizia, a seconda degli umori: cara Mella, Assenzio e Miele, Laetizia tristitia, Diambra, Leletititia, Signora Difilicche, amica dolce, fosca pesca lanuginosa d’oro. Divertenti alcune lettere, scritte dal poeta in un ironico dialetto pseudoveneto, forse per prendere in giro l’amante: “Me piaseria de resusitar porsèlo co’ la mia porseléta. Sì? No? Ti manno la macchena alle ore dèse; e ti prepparo un mezzo quintale de fruta”. Negli ultimi anni del loro rapporto, però, il tono cambia, forse perché lei vorrebbe da parte dell’amante un impegno più esclusivo nel troppo affollato Vittoriale: “Io non posso mutare: non muto, non muterò. Ho per te la più profonda tenerezza; ma non rinunzio ai miei capricci, improvvisi, alla mia ricerca del nuovo e dell’ignoto. Sono dunque disposto a tradirti…L’amore è una ignominia lugubre, interrotta da qualche ora di ebrezza perversa.”
Di Letizia scrive Paola Sorge in “Eleganza e voluttà in Gabriele D’Annunzio” (Carabba, 2013) : “Era la bella “di riserva”, tenuta dal Comandante come un giocatore in panchina, per le serate e le nottate vuote senza altre consolatrici dopo la foga dei primi anni.” La giornalista e scrittrice, la prima ad identificare Mèlitta con Letizia, scrive in un articolo su Repubblica di qualche anno fa intitolato “Il crepuscolo del Fauno”: “Ci sarà ancora un grande amore: quello per una giovanissima signora, forse la contessa Scapinelli-Morasso. A lei, alla sua Titti, D’Annunzio, in un presagio di morte, scriverà nel febbraio del ‘38, a pochi giorni dalla fine, le sue ultime righe:…Il tuo posto è alla mia sinistra. Così sarà. Fino alla fine, fino a che il mio sarà vuoto per sempre…”