Nel gennaio di 70 anni fa moriva a Londra Eric Arthur Blair, meglio conosciuto come George Orwell. Nato in India, figlio di un funzionario della Corona, passa gran parte della sua vita in Inghilterra ma, pur avendo vinto una borsa di studi a Eton, abbandona presto gli studi e una vita agiata per girare l’Europa ed entrare in contatto con le classi più umili. Autore di scritti autobiografici e saggi sociologici, forse oggi non si pronuncerebbe nemmeno il suo nome senza le appena cento pagine di Animal Farm (1945), una favola raccontata al modo di Jonathan Swift nella quale si denunciano le miserie e i soprusi dei regimi totalitari, e in particolare dello stalinismo.
Prima della pubblicazione delle sua allegoria politica , Orwell è un convinto radicale e rivoluzionario che entra a far parte delle Brigate Internazionali di ispirazione marxista nella lotta contro Franco durante la guerra di Spagna. Ma dopo aver visto in azione gli agenti di Stalin e i loro sistemi, ripudia l’ideologia inorridito per abbracciare il socialismo riformatore.
Nel 1945 pubblica la sua satira politica contro il dittatore sovietico riscuotendo un enorme successo e raggiungendo fama e benessere. Quando il libro viene tradotto in Italia, Palmiro Togliatti, sempre prono verso il catechismo moscovita, giudica l’opera “ una buffonata informe e noiosa” e su ‘Rinascita’, rivista del PCI, definisce Orwell “un poliziotto coloniale, una freccia dell’arco sgangherato di una cultura borghese” ; contemporaneamente, in Francia , il giornale ‘Le Monde’ elenca Animal Farm fra i cento migliori romanzi mai scritti.
Dal punto di vista letterario la favola vive una vita indipendente dalla satira e da cima a fondo la narrazione è limpida e fluida. Gli animali di una fattoria si ribellano all’uomo sfruttatore ma finiscono poi schiavi di una minoranza costituita da maiali. Tutta la vita della comunità è regolata da sette comandamenti che poi si ridurranno a uno solo, alla fine così modificato: tutti gli animali sono uguali ma alcuni animali sono più uguali degli altri
Orwell, proseguendo la via tracciata da Swift, riesce a superare Brave New World di Huxley, anche se rimane al disotto del livello raggiunto con Animal farm nel successivo 1984 (1949) un romanzo distopico che offre una deprimente visione delle cose del mondo immaginato nell’anno designato. “ Se si vuole un quadro del futuro, immaginate uno stivale che calpesta il volto di un uomo -per sempre” ( da 1984).
Tuttavia con 1984 lo scrittore ha il pregio di aver ‘profetizzato’ un mondo perennemente in guerra, l’onnipotente spionaggio di Internet, l’avvento di fake-news e post verità. “ Se riscrivessimo oggi 1984 o Animal Farm” ha scritto Marcello Veneziani in un articolo di qualche mese fa “ figureremmo un potere totalitario che usa la sanità, il contagio e la protezione come armi di dominazione assoluta … magari procurandoli perfino per esercitare poi il suo potere sulla società o sui Paesi che resistono alla sottomissione”.
Altri scrittori, nel Novecento, hanno seguito la strada indicata da Orwell: il premio Nobel W.Golding, con Il signore delle mosche (1954), dà una visione pessimistica degli esseri umani e del male che in essi finisce per prevalere e la scrittrice canadese Margareth Atwood che, con Il racconto dell’ancella (1985), ha voluto scrivere un romanzo distopico dal punto di vista delle donne.
I sette comandamenti di cui parla Orwell:
- Tutto ciò che cammina su due gambe è un nemico.
- Tutto ciò che cammina su quattro gambe o ha ali, è un amico.
- Nessun animale dovrà indossare vestiti.
- Nessun animale dovrà dormire in un letto.
- Nessun animale dovrà bere alcool.
- Nessun animale dovrà uccidere un altro animale.
- Tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri.